Avevo circa otto anni.
Il sole era ancora un frammento
sull’oceano gravido e infame.
Si andava a pesca con degli sconosciuti feroci.
Avevamo una barca verdone striata di ruggine colata.
I branchi di pesce ci attraversavano indifferenti sotto la chiglia.
Uno abbocca all’amo di uno degli orchi.
Poi un’altro sbagliò traiettoria tirando su la lenza e mi colpì in volto col pesce.
Indolenzito, lo presi e lo ributtai in acqua il più lontano possibile.
Sul fondo della barca, le striature di sangue aumentavano.
Non era quello il modo di pescare.
Un colpo rapido e nel vento le lenze tiravano come ossessionate.
Tornavamo a riva con la bacinella piena.
Ora al tramonto i pescherecci scavano il fondo trascinando,
le reti sono muri e prigioni e tradimento.
I fondali ribollono di strazio.
Non è questo il modo di pescare.