E il vento leggero, e il pensiero, e le sorprendenti idee, le purghe sui gradini dell’Università, l’attesa dei passi, una stanza da solo, le cose che rimangono dopo un’avventura, le libellule nelle sere buie e afose di campagna, che instancabili girano nel nero del cielo.
Un primo sasso in testa, precipitato, mi colpisce il cranio in pieno, e accuso il colpo e mi vibrano tutte le certezze.
Fieri di esistere, in questo grigio campo volo, quello dietro l’Aeritalia, grigio di nebbia di giorno, grigio di carlinghe di aerei futuristici per gli anni ’50, e si perde il senso tridimensionale della ricerca.
Un secondo sasso precipita sulla mia tempia e ferisce anche l’orecchio, così non sento più nulla.
Osservo come crescono le margherite a lato del campo volo in primavera, tagliate nette dal contorno della pista, e una voce che dice di non affannarsi, di non avere paura, invece abbiamo sempre paura, come un animale di ogni rumore sospetto, di ogni mano che si allunga, quando nell’intimo desideriamo solo la pace.
Un terzo sasso mi colpisce la tempia, senza ragione, e senza ne odio ne rancore comincio a piangere un pò, da dentro il cuore.
Ci si perde, lungo l’orizzonte, con lo sguardo pigro che deve distinguere il bene e il male, il destino e il fato, la fede e l’oblio, la voce e il silenzio, l’angoscia e la gioia. Un punto ora fisso, oltre il grigio, mentre la gente parla per creare l’atmosfera, io mi apparto lontano col pensiero, lontano dalla bramosia delle irradiazioni malefiche.
Un quarto sasso mi prende in fronte, come un canto la mia mente si offusca e sfoglio i libri che ho in memoria, le pagine volano sospinte dal vento come tra i capelli.
Non so se mai ho trovato quello che cercavo, non so cosa cercavo ieri, figurati se so cosa cercare oggi.
E il quinto ed ultimo sasso mi cade in grembo, tra le mani, ed è il più pesante di tutti.