In un’epoca che trova nell’iperconnessione una delle sue cifre distintive, essere costretti a starsene in casa propria, quella casa perlopiù vissuta come ostello nel quale rifugiarsi al termine della routine lavorativa, parrebbe una vera e propria manna dal cielo, un’occasione più unica che rara per riconquistare quel tempo perduto e sempre sottratto dalla tirannia del lavoro, una parentesi nella quale riscoprire se stessi, i propri interessi, e vivere a un ritmo più umano e rilassato le nostre vite.
Eppure, quello che si vede sembrerebbe indicare ben altra cosa: fin dalle prime ore che sono seguite al sofferto annuncio del premier, sono fioccati i casi di italiani che cercano in tutti i modi possibili di eludere questi vincoli, di aggirare i controlli delle forze dell’ordine; che si tratti di raggiungere il proprio partner o di portare a spasso il proprio cane per fare due chiacchiere con un amico poco importa: evadere dalle maglie della solitudine sembra essere l’impellenza dominante di questi giorni.
Sono state spese molte parole per illustrare le drammatiche verità che questo virus ci ha costretto ad affrontare, prima fra tutte la precaria e fragile condizione dell’esistenza umana, della quale dovremmo essere più umilmente coscienti e meno superbamente sicuri. Ma se tanta preoccupazione è giustamente concentrata oggi sulle conseguenze sanitarie ed economiche più immediate, ancora poco è stato detto delle perturbazioni psicologiche che questo virus lascerà in noi. Ed è proprio la noia quel mostro solitario che siamo tutti chiamati a fronteggiare nel nostro isolamento. Una noia che è incapacità di gestire di se stessi e il proprio tempo, quindi di guardare con onestà a noi stessi, a quel che siamo.
Eppure, come ogni trauma, anche il coronavirus porta con sé un duplice lascito: distruttivo e costruttivo. Se la prima lezione, dolente e pesante, è quella della vacuità di tante nostre attività, della loro natura prettamente strumentale consistente perlopiù nel tenerci distanti da quel vertiginoso vuoto che ognuno è per se stesso e che troppo raramente siamo abituati a fronteggiare, la seconda rappresenta tuttavia una preziosa possibilità, quella di prendere coscienza di ciò che veramente è importante nelle nostre vite, cioè gli altri.
È nella socialità, infatti, che da sempre l’essere umano trova e prende appiglio per essere quel che è, per realizzarsi e per esistere appieno. Quello stare assieme che oggi, auspicabilmente per un breve e momentaneo periodo, ci è precluso, ma per il quale tanto sentiamo una implacabile nostalgia.