La lunga camminata per arrivare alla spiaggia sotto il sole cocente, senza acqua
la terrazza di un hotel vicino all’aeroporto a guardare il sole
la panchina sotto la pioggia dove tutto il mondo si è fermato
i granelli di zucchero amaro sotto i denti
il sorriso dilettante così puro e sincero
la premura affinchè tutto fosse perfetto
le ore in auto per raggiungere la meta assieme
i pugni sul muro per appicciare la rabbia fuori dal corpo
le notti a non dormire pensando a cosa fosse meglio fare
un quadro rosso bordato di nero, ma tu che ne sai
le tempeste di parole e i proiettili gridati
lo sconforto della vita solitaria anche se in compagnia
la testa sul cuscino e gli occhi che cercano nel buio
lo smarrimento della strada davanti ad un muro che non è il tuo
il digiuno dei sentimenti e l’aridità della solitudine imperfetta
la polvere dell’isola che pervade tutte le pazzie e le blocca con l’attrito
la stanza, e poi un’altra stanza, e poi un’altra ancora
il diavolo e l’angelo che saltellano a braccetto davanti ai tuoi occhi
le scuse blu e gli sfoghi rossi
l’amore ribelle, quello di vecchia data, e quello che ancora deve arrivare
il combattimento senza sapere cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato
la monotonia del giorno, della settimana, delle ore che passano
forse è meglio che fumi quell’ultima sigaretta
il dolore della perdita e dell’impotenza, che le persone e le cose si devono lasciare andare
anche se le tieni tra le tue braccia
quella ultima volta per chiudere esattamente così come si era aperto
le promesse girate e rigirate dentro e fuori, senza fine
seduti ad aspettare la fine, lo so, come se sapessi già,
di profondi vuoti e amare verità.
dimentica.
Eppure quel giro di chitarra dentro me, che mi accompagna da quando avevo 10 anni, non mi consente di andarmene sbattendo la porta, senza credere di poter piangere ancora.
Quel giro di chitarra l’ho ritrovato già, mi sta già aspettando da un pezzo.